Museo Civico "Carlo Verri" Biassono Pizzi, trine e lini. La dote della nonna 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 |
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![]() Una buona dote era un fattore di prestigio nelle povere comunità rurali e rappresentava un punto d'onore poiché, almeno una volta nella vita, permetteva di sentirsi all'altezza degli altri, con la soddisfazione di aver dato un contributo essenziale per la continuità e il benessere della famiglia. L'accumulo degli oggetti che formavano la dote iniziava quando una ragazza si avvicinava all'età da marito, verso i 15-16 anni, a volte anche fin dalla nascita, se le risorse della famiglia erano minori. Quando non si riusciva a mettere insieme nemmeno il minimo indispensabile, la dote era fatta dalle attrattive fisiche, dalla resistenza alle fatiche e alle privazioni e dalle virtù domestiche della futura sposa. I capi della dote si confezionavano perlopiù in casa. Nelle lunghe sere invernali, al tepore della stalla che riuniva più famiglie, le donne e le ragazze si dedicavano a filare, ricamare e cucire. Ogni capo, lavato e stirato, si conservava nelle cassapanche, che seguivano la fanciulla nella casa del futuro marito. ![]() Il contratto di matrimonio veniva spesso accompagnato dall'elenco dotale, che riportava dettagliatamente la lista di tutti gli oggetti destinati all'abbigliamento della sposa, dei tessuti per l'arredamento della casa, cucina e camera (biancheria, tendaggi, coperte) e nei casi di famiglie più abbienti, delle proprietà immobiliari e del denaro liquido. L'elenco, oltre a rappresentare il riconoscimento del valore della sposa, serviva, nel caso essa morisse senza aver messo al mondo dei figli, a consentire allo sposo di restituire il tutto alla famiglia della consorte. Inoltre, alla morte del padre della ragazza, si poteva stabilire quanta parte di eredità aveva già avuto come dote. |
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