La sequenza delle fatiche umane che accompagnavano la coltivazione
dei cereali è rimasta immutata per migliaia di anni e solo poco
tempo fa è stata alleviata da una massiccia meccanizzazione.
Il lavoro, quasi sempre svolto dagli uomini, era effettuato con l'aiuto
di pochi strumenti tradizionali.
L'aratura si effettuava su terreni precedentemente concimati con
letame (ul rüü e la ganga)
e sottoposti a rotazione agraria; l'operazione doveva incidere,
tagliare, rivoltare il terreno, mescolandone gli strati e amalgamandone
i concimi. Le zolle di terra erano poi spezzate e sminuzzate con
l'erpice (erpes o spianöm) predisponendo
il terreno alla semina.
In autunno si faceva la semina (ul sumeneri) dei
cereali, principalmente il frumento (ul furmeent),
la segale (la segra) e l'orzo: un tempo fatta gettando
i semi a mano (a spantegà).
|
 |
 |
Nel
periodo estivo si effettuava la mietitura: si lavorava a mano
con tipiche falci messorie (la missüra), le
cui lame erano tenute affilate mediante battitura con la martelìna
e, sul lavoro, con le coti.
Il mietitore afferrava un gruppo di steli con la mano e li recideva
e ripeteva l'operazione del segà fino a raggiungere
la giusta quantità per formare un covone (la cöva)
che poi riuniva in tipici mucchi detti cavalètt.
|
Dopo
il tempo necessario all'essicamento i covoni venivano portati
nelle vicinanze dell'aia e sistemati in grandi mucchi, chiamati
méde, per la successiva trebbiatura.
I cereali venivano battuti su una superficie dura con strumenti
di vario tipo. A mano con bastoni snodati, cioè verghe
o correggiati. Oppure venivano calpestati da asini o cavalli che
potevano trascinare rulli o altro, per separare i grani dalle
spighe.
|
 |
 |
I
grani venivano poi separati dalle pule e dalle paglie col ventürà,
poi, ulteriormente puliti e selezionati, pesati o misurati, raccolti
in sacchi e trasportati nel granaio o direttamente al mulino per
essere trasformati in farina.
Una parte dei grani, la migliore, veniva accantonata per la successiva
semina.
|
|