Museo Civico "Carlo Verri" Biassono La vite e il vino in Brianza dai celti al D.O.C. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 |
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Nel tino, dopo la pigiatura, il mosto entrava in fermentazione tumultuosa, con le vinacce che andavano follate cioè sommerse continuamente. Alla fine sul fondo si addensavano le impurità, le fecce, mentre alla superficie si addensavano le vinacce, la parte centrale era costituita dal mosto migliore che veniva spillato attraverso un foro posto lateralmente. Nel Vimercatese a Oreno questo vino era detto Crüdé, a Biassono troviamo in un documento del 1650 vino Crevello rosso (Riportato in fondo al testo), a Montevecchia è il Crüel simile al Cruèl di Galbiate. Il nome non indica una qualità di vino ma il vino migliore, quello che veniva cavato dal tino, senza mischiarlo alle fecce o al torchiato, con qualsiasi uva esso fosse prodotto. Le qualità dei vitigni utilizzati erano molte e non tutte adatte al clima della Brianza. Tra le diverse pubblicazioni citiamo la "Relazione intorno all’operato della commissione ordinatrice dell’esposizione di uve" tenuta il 2 e 3 ottobre 1876 presso il Collegio Alessandro Manzoni di Merate, stampata a cura del Consorzio Agrario Brianteo. Questa commissione fece le analisi sulle uve determinando il contenuto di glucosio e l’acidità, giungendo a indicare le uve migliori da impiegare in Brianza. I vitigni coltivati erano molti: ananas nera, barbasina, barbera nera, barzamino nera, bonarda nera, bordeaux, borgogna o borgognino nera, botascera o marcellana, bressana nera, bressanina, brugnola, cagna nera, casca, caschetta, chasselas, corbera, corberone, cornetta, greco, grignolò detta uva del prete o anche moncucco, guarnazza, inzaga, inzaghetta, lambrusca, malvasia, mensile, merera, mornera, moscato, moscato di Cipro, nebbiola, negrera, pezzè, pignola, pinot, piona, rosa, rossera, spagna, teinturier, tokai, trebbiano, uvatico, uvetta o vespolina, uvone, vernaccia e zibettone. La commissione in base ai risultati delle analisi concluse consigliando di abbandonare la maggior parte dei vitigni sino allora utilizzati, che davano scarsi risultati, e incrementare la propagazione di alcune varietà quali la cornetta, la barbera, l’uvetta, la malvasia e la barbasina. Non conosciamo i risultati di queste raccomandazioni, ma sappiamo che pochi decenni, dopo l’aggressione della fillossera, tutti questi sforzi tesi a migliorare la qualità delle uve e dei vini in Brianza furono vanificati e resi inutili.
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