Museo Civico "Carlo Verri" Biassono La vite e il vino in Brianza dai celti al D.O.C. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 |
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I romani, come altri popoli antichi, ritenevano il vino una bevanda di
origine divina e di conseguenza regolavano tutte le attività connesse,
dalla potatura della vite, alla raccolta dell’uva e della sua pigiatura,
sino all’assaggio del vino nuovo, con riti religiosi. Le norme religiose
riproducevano le semplici regole relative ad ogni passo del ciclo produttivo
del vino. Dalla coltivazione alla potatura della vite, a cui presiedeva
la dea Puta, una divinità minore del pantheon romano.
Alle norme che stabilivano il giusto periodo per l’inizio della
vendemmia, per impedire la raccolta prematura dell’uva, seguivano
quelle per la pigiatura sino al divieto di assaggiare e commerciare i
nuovi vini prima delle “vinaliae” di primavera che
erano celebrate il 23 aprile. Il sopra citato Carlo Antonio De Capitani, nel capitolo Del tempo di fare la vendemmia, nel raccomandare di iniziare la vendemmia quando “le uve si presentano nello stato di vera maturità”, informa che “è la pubblica Autorità Comunale che suole determinare il tempo di vendemmiare”.
Scrive inoltre Carlo Ravizza in Un curato di campagna, (Milano 1841, p. 52): “..Aveva più volte osservato che per paura di quei ghiottoni che vanno attorno di notte-tempo vendemmiando alla spicciolata su quel d’altrui, taluno dei proprietari metteva mano a raccogliere l’uva prima che ella fosse matura, e gli altri dovevano seguirne l’esempio per non trovarsi esposti dippiù al pericolo, e il vino non riusciva quasi mai così perfetto come avrebbe pur dovuto e potuto. …. Egli sapeva che v’era su questo punto una savia legge amministrativa e che in alcuni comuni si usa con pubblico editto fissare sotto comminatoria il giorno in cui potranno aver principio le vendemmie.” Il furto di uva dai vigneti era un fatto antico, se già lo troviamo citato nell’Editto di Rotari (VII sec. d.C.), in periodo longobardo: “Si quis super tre uvas de vinea alienam tulerit, componat solidos sex; nam si usque tres tulerit, nulla sit illi culpa” (Roth.296). La pena per il furto di una quantità d’uva superiore a tre grappoli era molto elevata, ma se i grappoli erano al massimo tre il fatto era tollerato, se non auspicato, perché ritenuto atto caritatevole verso chi non aveva altro per sfamarsi. |
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